martedì

Kant e la "Critica del giudizio"

Kant analizza il "sentimento" che egli considera intermedio tra l'intelletto e la ragione e che identifica con la facoltà del giudizio: è attraverso esso che l'uomo coglie la bellezza delle cose e fa esperienza delle finalità insita nel reale.

L' argomentazione kantiana decolla con la fondamentale diversificazione: 
Giudizi del sentimento -> sono giudizi riflettenti infatti si limitano a riflettere sull'oggetto già formato.
  •  giudizi estetici -> identificano il bello con ciò che piace universalmente
  • giudizi teleologici -> riflettendo in merito alla natura, colgono un ordine finalistico che corrisponde agli interessi dell'umanità 
Giudizi del'intelletto -> sono giudizi determinanti e uniscono il molteplice grazie alle categorie dell'intelletto, determinano quindi l'oggetto fenomenico.

⬥ LA STUTTURA DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO

La prima parte della "Critica del giudizio" è dedicata all'esame del giudizio estetico e si concentra sui concetti di "bello" e "sublime"

Il giudizio estetico è contemplativo e disinteressato: non riguarda l'oggetto in sé, ovvero la sua esistenza o il suo possesso, ma la sua raffigurazione e il piacere, l'effetto che comporta

Il giudizio di gusto esige l'universalità, la quale però non proviene dai concetti. 

Il bisogno di universalità dei giudizi di gusto è situata nella comune struttura mentale degli uomini, ossia nelle condizioni a priori di questi giudizi: infatti in tutti gli individui vi è un "senso comune", il quale consente di percepire l'accordo esistente tra l'immagine della cosa e le nostre necessità, di uso e scopo

In tale accordo e armonia si trova la bellezza, la quale perciò non appartiene alla cosa ma al soggetto. 
 

A differenza del bello, che riguarda la forma dell' oggetto e dunque il suo limite, il sublime è situato in qualcosa di impreciso, indefinito, privo di forma ed esprime il senso di ammirazione che si prova dinanzi al sublime matematico (grandezza della natura) e al sublime dinamico (potenza della natura).

Mentre bello è ciò che armonico, misurato, composto "a regola d'arte", sublime è l'eccessivo, il disordinato, ciò che non è a misura d'uomo ma a sua dismisura, per esempio il vuoto, gli abissi, gli spazi immensi, il silenzio assoluto, l'oscurità o le montagne gigantesche.

Sono belle, afferma Kant, le aiuole di un giardino, sublimi le alte querce; bello il giorno, sublime la notte. 

Secondo Kant esiste un sublime matematico, che nasce dallo sgomento per l'immensamente grande: la serie senza limite dei numeri, il pensiero dell'infinità cosmica o dell'eternità temporale. 

Dalla contemplazione della potenza della natura nasce invece il sublime dinamico: i grandi fenomeni naturali (temporali. terremoti...), le catastrofi causate dalle forze scatenate della natura che spaventano, ma nello stesso tempo attraggono e affascinano.

E' possibile provare attrazione persino per cio che è brutto, purché sia "tremendamente brutto" (i moderni film horror ne sono un esempio). 

Il sublime nasce quindi non dalle qualità dell'oggetto contemplato, ma dalla disposizione d'animo del soggetto. 

Mentre la bellezza sviluppa un sentimento di semplice piacere (soddisfazione, appagamento), la sublimità provoca un'emozione ambivalente, un orrore dilettevole, uno stato d'animo in cui al piacere si unisce la paura.

La trattazione di Kant prosegue mettendo in luce la diversa origine del sublime e del bello. 

Il giudizio di bellezza nasce da un accordo fra la sensibilità e la ragione, perchè il soggetto ritrova in ciò che contempla gli stessi criteri, gli stessi valori di misura e di proporzione che regolano la sua attività mentale. 

Al contrario, il senso del sublime deriva da un conflitto fra sensibilità e ragione

Ci fa sentire piccoli rispetto all'immensità della natura e indifesi verso la potenza delle sue forze scatenate, ma questo dispiacere dell'immaginazione si accompagna a un piacere della ragione: lo spettacolo delle montagne più alte e degli strapiombi più scoscesi risveglia il sentimento dell'infinito, induce a riflessioni sulla natura dell'uomo e del mondo.

Il sublime suscita sentimenti ambivalenti: la percezione della finitezza e dell'impotenza dell'uomo di fronte all'immensità dell'universo; la consapevolezza della grandezza spirituale dell'uomo, in grado di elevarsi al di sopra del sensibile

Mediante l'esperienza del sublime l'essere umano è in grado di individuare un'infinità più profonda che si trova all'interno di sé ed è caratterizzata dalla presenza della legge morale e della ragione.

L'ultima riflessione sulla "Critica del giudizio" è dedicata al giudizio teleologico (finalistico).

Quest'ultimo coglie nella natura sia la presenza di scopi che di finalità; si tratta però solamente di un'esigenza propria dell'uomo, che lo porta a ricevere le cause finali dei fenomeni naturali e che si conclude in un'inevitabile visione teleologica.

L'uomo infatti immagina un creatore che orienta gli organismi viventi, e perciò la natura intera, verso il bene.

La teleologia rimane un'ESIGENZA e non vuole raffigurare una conoscenza oggettiva: la teleologia difatti è il frutto, il risultato, di un giudizio di tipo riflettente, che, al posto dei giudizi determinanti i quali possiedono valore conoscitivo, ha un valore solamente di tipo regolativo.

Kant e la "Critica della ragion pratica"


Secondo il filosofo il criterio dell'azione risiede nell'uomo e, in particolare, in una legge morale iscritta nel suo animo quale "fatto della ragione" incondizionato e universale, che s'impone come dovere

Distinguendo tra imperativi ipotetici (condizionati, del tipo "se vuoi essere onorato, rispetta la parola data") e imperativi categorici (incondizionati, del tipo "non mentire mai"), Kant sostiene che la morale si fonda solo e unicamente su questi ultimi

L'etica kantiana, pertanto, si configura come un'etica "formale", in quanto non prescrive comportamenti particolari, bensì solo la "forma" delle azioni morali che, per essere tali, devono corrispondere al principio di universalizzazione

Secondo il principio di universalizzazione, un'azione si definisce morale se si può volere che questa diventi legge, una norma di comportamento di tutti gli uomini. 
Kant, poi, amplia tale principio attraverso tre celebri formulazioni dell'imperativo categorico:
  1. "agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale"
  2. "agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo"
  3. agisci in modo tale che "la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice"
Una conseguenza essenziale della creazione della morale sulla ragione è il fatto che addirittura la religione ne risulta condizionata.


Le più importanti credenze e convinzioni religiose, quali l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima, coincidono perfettamente con i postulati della ragion pratica

Quest'ultimi ineriscono alla morale come condizioni della sua stessa pensabilità, libertà ed esistenza.

E' necessario affermare che un Dio, onnipotente e intelligente, mediante il quale si può pensare che il bene ricerca nella vita morale e dato dall'unione di felicità e virtù sia possibile; nel medesimo modo, dato che il bene non è conseguibile entro i limiti della vita sulla Terra, bisogna postulare una vita successiva alla morte in cui sia realizzabile progredire verso di esso. 


Dio e l'anima non sono oggetto di dimostrazione, ma rappresentano una ragionevole speranza per l'uomo. 
In ciò consiste il "primato" della ragion pratica rispetto alla ragion pura: sul piano pratico la ragione ammette proposizioni che sarebbero inammissibili dal punto di vista teoretico.

Kant e la "Critica della ragion pura"

Nella Critica della ragion pura si afferma che occorre condurre un'analisi sui fondamenti della conoscenza al fine di appurare quali sono le condizioni di possibilità della scienza e capire se è possibile una metafisica come scienza. 
Kant procede dunque ad analizzare i fondamenti e i principi della matematica e della fisica, ossia del sapere scientifico certo e sicuro, partendo dai suoi elementi di base: i giudizi


Le proposizioni della scienza sono dette "giudizi" perché costituite da un soggetto e un predicato.

Kant sostiene che tutta la conoscenza si basa sull'attribuzione di un predicato a un soggetto, come ad esempio "il prato è verde", "la neve è bianca". 

- Pensare è giudicare. -

Kant afferma inizialmente che ci sono due tipi di giudizi :
  1. i giudizi analitici
  2. i giudizi sintetici
I giudizi analitici sono quelli in cui il predicato è già contenuto nel soggetto
Si tratta di giudizi a priori, infatti il loro contenuto non deriva dall'esperienza, ma la precede. Essi sono dotati dei caratteri della necessità e universalità, ma sono privi di novità, perché il predicato non aggiunge nulla di nuovo al concetto implicato nel soggetto.

I giudizi sintetici sono quelli in cui il predicato offre un contenuto informativo nuovo, che viene aggiunto a quelli noti. 
In essi abbiamo un'estensione della conoscenza, ma non la garanzia della sua necessità e universalità, poiché dipendono interamente dall'esperienza: essi sono, infatti, a posteriori.

In seguito, insoddisfatto dalle mancanze dei primi due, sostiene l'esistenza di una terza tipologia:
  1. analitici a priori -> pur essendo universali e necessari, non consentono di progredire nella conoscenza (tipici del pensiero razionalista)
  2. sintetici a posteriori -> benché apportino nuove informazioni, non garantiscono la necessità e universalità della conoscenza (tipici dell'empirismo)
  3. sintetici a priori -> sono dotati dei caratteri sia della necessità e l'universalità, in quanto sono a priori, sia della novità, in quanto, essendo sintetici, il predicato aggiunge un'idea nuova al soggetto (tipici della scienza newtoniana)
Nella conoscenza possiamo distinguere 2 aspetti:

  • l'aspetto materiale, ovvero le impressioni sensibili che il soggetto riceve passivamente dall'esperienza (a posteriori)

  • l'aspetto formale, ovvero le modalità (a priori) con cui la mente ordina attivamente le impressioni
Sono proprio le forme a priori che garantiscono la validità della scienza: esse rappresentano la modalità universale e necessaria con cui tutti gli uomini percepiscono e conoscono la realtà. 
Questa visione della conoscenza comporta un ribaltamento dei rapporti tra soggetto e oggetto: se infatti nella precedente riflessione era la mente a doversi adeguare alla realtà, ora è la realtà che, nell'atto conoscitivo, si deve adeguare alle facoltà umane attraverso cui è percepita e ordinata, detta anche rivoluzione copernicana.
Il termine trascendentale viene adoperato da Kant in un’accezione gnoseologica, per cui “trascendentale” è la filosofia che si occupa non degli oggetti o del loro “essere”, cioè delle loro proprietà ontologiche, ma delle loro condizioni di conoscibilità, di ciò che “supera” la conoscenza nel senso che la rende possibile.
⬥ LA STRUTTURA DELLA CRITICA DELLA RAGION PURA
 
La Critica della ragion pura è un trattato sistematico che risponde a un'esigenza metodologica fondamentale: secondo Kant, infatti, la sistematicità è un requisito indispensabile per ogni conoscenza scientifica.

La rigorosa struttura dell'opera riflette l'architettura della ragione umana, soggetto e oggetto dell'indagine di Kant.
 
La Critica della ragion pura è suddivisa in due parti:
  1. la Dottrina degli elementi*, che procede alla scomposizione della ragione nelle sue parti fondamentali, gli elementi "puri" o "a priori" del conoscere;
  2. la Dottrina del metodo, che di riferisce al metodo di applicazione dei suddetti elementi formali
La DOTTRINA DEGLI ELEMENTI* si spartisce a sua volta in:

ESTETICA TRASCENDENTALE, che analizza la conoscenza sensibile e le sue forme a priori.

Secondo il filosofo ogni conoscenza inizia con l'esperienza, ossia con la percezione degli oggetti esterni da parte dei sensi

Il termine "estetica" dunque, è utilizzato nel suo significato originario (derivato dalla parola greca aisthesis, "sensazione"), in riferimento non a una teoria del bello o del gusto, bensì ai principi dell'intuizione sensibile.

Kant afferma che la sensibilità ha una duplice fisionomia:
  • "passiva", in quanto riceve dall'esperienza esterna i dati percettivi,
  • ma è anche "attiva", in quanto organizza il materiale che riceve dall'esterno attraverso due forme a priori: lo spazio e il tempo.
Lo spazio, ovvero la forma del senso esterno, e il tempo, ovvero la forma del senso interno, non sono derivabili dall'esperienza, ma sono le condizioni a priori in virtù delle quali si conoscono gli oggetti.

LOGICA TRASCENDENTALE°, che studia il pensiero e le sue regole.

Essa si suddivide a sua volta in:

ANALITICA TRASCENDENTALE, che ha come oggetto specifico gli elementi di base dell'intelletto puro.
  
Grazie all'attività sintetica dell'intelletto, gli oggetti da noi intuiti sulla base della sensibilità, vengono unificati mediante i concetti puri o categorici. 
Per Kant la sensibilità e l'intelletto sono essenziali alla conoscenza: l'esperienza senza i concetti è infatti cieca, e i concetti senza l'esperienza sono vuoti.
Kant aggiunge 2 categorie e le raggruppa in 4 classi. 
Prende spunto dalla logica medievale che parlava di 4 tipologie di giudizio (affermazione e negazione come le proposizioni apofantiche di Aristotele):
  • giudizi secondo quantità
  • giudizi secondo qualità
  • giudizi secondo relazione
  • giudizi secondo modalità
Così da giustificare la legittimità dell'applicazione delle categorie dell'intelletto ai dati dell'esperienza, il filosofo ricorre all' io penso
Quest'ultimo è la maggiore funzione sintetizzatrice e sta alla base di tutta la conoscenza
Senza l'io penso, conosciuto anche come "autocoscienza" o "appercezione trascendentale", l'uomo avrebbe rappresentazioni, sia sensibili che intellettuali, confuse e disperse. L'uomo inoltre non potrebbe rifarle a se stesso. 
La creazione del processo conoscitivo sull'IO PENSO, che nella sua attività sintetizzatrice dell'esperienza usa le categorie, giustifica l'applicazione di queste ultime alla realtà, che è conoscibile solamente in relazione alla funzione di categorizzazione operata dall'io penso.
La realtà di cui l'io penso è legislatore, tuttavia, è unicamente la realtà fenomenica
Per realtà fenomenica si intende la realtà che appare all'uomo mediante le sue facoltà, quali sensibilità e intelletto, e che costituisce l'orizzonte entro cui egli può ottenere la vera conoscenza
La dimensione che si amplia oltre al fenomeno, cioè la dimensione delle cose in sé, per Kant è per così dire "pensabile", ecco perché è denominata NOÙMENO  "ciò che è pensabile", ma non "conoscibile"

DIALETTICA TRASCENDENTALE, che ha come oggetto la facoltà della ragione e i suoi principi.

La metafisica, poiché avanza la pretesa di costruire idee che oltrepassano l'esperienza possibile, è contraddittoria.

Kant nell'ultima sezione della prima "Critica" dedicata alla "Dialettica trascendentale", dimostra l'infondatezza delle tradizionali prove PSICOLOGICHE sull'immortalità dell'anima, COSMOLOGICHE sul mondo come totalità e ordine, TEOLOGICHE sull'esistenza di Dio.

I tre errori sono:
  • Idea dell’anima: l’errore che la ragione commette sull’idea dell’anima nasce quando la ragione applica la categoria della sostanza all’Io penso, dando una corporeità all’Io penso.
  • Idea di mondo: secondo Kant, l’uomo applica la categoria della totalità a delle esperienza sensibili errando perché, secondo lui, l’esperienza sensibile è percepita attraverso l’intuizione spazio-temporale, non si può applicare ai dati sensibili. 
  • Idea di Dio: Kant critica l'idea ontologica che ha sempre caratterizzato i teologi che volevano dimostrare l'esistenza di Dio.
Le prove si fondano sulle idee metafisiche di anima, mondo e Dio le quali, permettendo una totalità inaccessibile all'intelletto umano, non hanno valore conoscitivo, ma solo "regolativo"

Regolativo dato che rispondono alla necessità dell'animo umano di andare oltre la natura e il finito: l'uomo si comporta "come se" l'anima fosse immortale, il mondo fosse un cosmo ordinato e Dio esistesse, nonostante non possa dimostrarlo.

Concludendo la nostra ragione erra quando si appropria ed applica le categorie dell'intelletto a idee che non son tali (quella dell'animo e dell'Io penso, del cosmo e di Dio).

Kant dà più importanza al ruolo dell'intelletto: spinge l'intelletto ad andare sempre oltre le sue conoscenze e le sue scoperte, sbaglia quando vuole superare i 
limiti dell'intelletto.